Di seguito potrai trovare il testo completo dell’articolo che è stato pubblicato da Laura Ricci e Maurizio Mattarelli sul sito della Diocesi di Bologna e in versione ridotta su Avvenire il 09/08/2020:
Costruisco questa casa
senza inizio e senza fine,
come il sole a mezzogiorno
quando incendia le colline,
costruisco questa casa,
questa casa sul confine.
(cit. La casa – Francesco De Gregori – Calypsos, 2006)
Queste righe nascono da una richiesta che mi è stata direttamente rivolta.
Ho accettato volentieri e, nel momento in cui ho cominciato a ragionare su cosa scrivere, ho scelto (in sintonia con quanto penso e vivo) di riflettere non da solo, ma insieme con una donna sul nostro posto nella Chiesa. Le righe che seguono sono, dunque, il frutto dell’esperienza comune di quindici anni di lavoro pastorale condiviso.
La Chiesa è, per noi, realtà incarnata di fraternità: quello che riguarda le donne riguarda anche gli uomini e viceversa. Per chi scrive, la questione del femminile nella Chiesa non è qualcosa da rivendicare, non è la pretesa di avere una “quota rosa”, non è conquista di una parte del potere, ma è complementare integrazione della peculiarità maschile e femminile. Senza appiattire le differenze, anzi massimizzando l’originalità che siamo.
In tal senso, ad esempio, il diaconato femminile non può essere la “quota rosa” e nemmeno l’imitazione del diaconato maschile. Possiamo chiederci, insieme al lettore: potrebbero esserci ministeri femminili che esprimono le modalità materne di cura?
“La donna giunge al culmine della creazione… racchiude in sé il fine del creato stesso: la generazione e la custodia della vita, il prendersi cura di tutto” (Omelia di Papa Francesco, 1° gennaio 2020, Maria Madre della Chiesa).
Il “riconoscimento” della donna nella Chiesa parte, quindi, da una pratica quotidiana di riconoscimento del “grande” femminile che è nelle donne, a partire dal “piccolo” femminile che è in ogni uomo (e viceversa). Per conoscere nuovamente chi sono io e chi sei tu, occorre un tempo di frequentazione, vicinanza, ascolto, contatto. L’Altro, prima di accoglierlo nella Chiesa, lo accolgo nel cuore, con le qualità dell’Amore che permettono di intendere profondamente l’unitarietà.
Qualche nostro lettore dirà che questo avviene già. Possiamo allora chiederci: che tipo di accoglienza è?
Quando accolgo (o rifiuto) l’altro “genere”, cosa accolgo (o rifiuto) e perché?
Vivo con Lei/Lui un rapporto sostitutivo? Ovvero prendo dell’altro un pezzo che sento in me mancante?
Instauro con l’Altra/o un rapporto utilitaristico? Permettendo cioè unicamente l’espressione delle competenze funzionali all’esplicazione di quel servizio?
Pretendo un rapporto esecutivo? Io impartisco un ordine da eseguire senza permettere all’altra un pensiero diverso dal mio?
Davanti ad un incarico e/o servizio ci può essere una riflessione condivisa sulla modalità di attuazione del medesimo compito? Per noi sì, poiché possiamo costruire insieme una casa sul confine! Una Chiesa che non sia né mia, né tua ma nostra.
Al termine di questa riflessione ci permettiamo di proporre una fantasia, sollecitati dalla proposta provocatoria della biblista Anne Soupa che ha presentato la propria candidatura a Vescovo di Lione segnalando così, il desiderio delle donne di servire la Chiesa mettendo in circolo le proprie e specifiche potenzialità.
Proviamo ad immaginare che a capo della comunità cristiana ci sia non un singolo (uomo o donna) ma una coppia (non necessariamente di sposi). Come sarebbe lo stile di conduzione? Come cambierebbe il clima della vita comunitaria? Qualche tempo fa io parroco (don Maurizio) chiesi al Consiglio pastorale di essere affiancato da una donna, (non colei che ha redatto quest’articolo con me!) designata dalla comunità, che mi affiancasse nella gestione ordinaria della vita comunitaria. Il Consiglio Pastorale non accolse questa mia richiesta, dicendo che non era necessaria questa presenza, siccome la dimensione femminile era già presente nello stile comunitario. Vero? Falso? Timore di esporsi? Chissà… Certo è che io non ho smesso di prestare attenzione (o almeno ci provo) all’”altra metà del cielo”, ascoltando, chiedendo, osservando, perché il mio stile di pastore possa unire alla capacità progettuale uno stile di cura protettivo.
Terminiamo con le parole di un articolo apparso su Avvenire dopo il Sinodo dei giovani.
“Se in Genesi l’immagine di Dio è ‘maschio e femmina’, solo insieme maschio e femmina saranno suo riflesso e non esclusivamente nel matrimonio. Il Sinodo ci invita a riflettere su quanto la loro reciprocità possa essere feconda in ogni ambito: «La relazione tra uomo e donna è compresa nei termini di una vocazione a vivere insieme nella reciprocità e nel dialogo, nella comunione e nella fecondità in tutti gli ambiti dell’esperienza umana: vita di coppia, lavoro, educazione e altri ancora. Alla loro alleanza Dio ha affidato la terra» (13).
L’ultima affermazione è da brivido: la terra non è affidata alla cura degli uomini, intesi come esseri umani, ma all’alleanza uomo-donna. Come cambierebbero le nostre relazioni, le distribuzioni di compiti e ruoli, anche all’interno della Chiesa, se prendessimo sul serio quest’affermazione? E perché raramente riusciamo a farlo? Nel governo delle Chiese locali e di quella universale si stenta a riconoscere un investimento sulla presenza femminile che dia forma a quell’alleanza originaria che rinvia al mistero divino stesso. Così rimane offuscata la particolarità del Regno di Dio rispetto a tutte le consuetudini umane, che vedono ancora deturpata da stereotipi e sopraffazione l’alleanza originaria.
Nei vangeli il gruppo di Gesù è senza precedenti, specialmente per la comunione di donne e uomini, destinatari della stessa Parola e di un’unica salvezza.”
Abbiamo in mente una Chiesa che, oltre che ad essere incarnata e integrata, divenga integrante.
Qualcosa, dei sogni, a volte si realizza.
Don Maurizio Mattarelli e Laura Ricci