Confini e contatti: le due facce della costruzione del sé
Nel corso della vita ognuno di noi struttura la propria identità grazie alle relazioni e agli incontri che si sviluppano lungo i binari paralleli del confine e del contatto. Il primo è ciò che ci separa dall’Altro, definendo un Io, mentre il secondo ci fa toccare l’altro e incontrare il Tu. Questi due elementi, che a prima vista possono sembrare opposti, sono in realtà complementari. Sperimentiamo infatti per la prima volta un contatto che ci rivela un “Altro da sé” ancora prima di nascere, quando incontriamo le pareti uterine ed esploriamo questo confine naturale: un’esperienza che rimarrà nel nostro corpo come una memoria atavica ma sempre presente. Si tratta di un ricordo inconsapevole, ma che affiora nuovamente ogni volta che ci confrontiamo con un confine – magari cercando di superarlo, proprio come succede nell’adolescenza.
Confine è, letteralmente, cum-finis:
ciò che simultaneamente mi separa e mi unisce agli altri nello spazio di relazione in cui possiamo entrare in contatto.
È proprio con gli adolescenti, nelle classi scolastiche e nei luoghi di aggregazione, che i nostri linguaggi corporei e verbali hanno quindi bisogno di avere confini levigati e una sintassi strutturata e sapiente, per accompagnare gli adolescenti a scoprire il senso del tempo e le bellezze delle “prime volte”. La relazione educativa e terapeutica percorre e ripercorre i modi in cui i ragazzi si raffigurano i loro passaggi evolutivi, in un processo di chiarificazione in cui le parole si fanno gesto e immagine e si fondono e si risolvono, tra sensi e forme, nel silenzio e nelle parole degli incontri individuali e di gruppo. Anche questo è con-fine. Tutti noi, infatti, ci siamo strutturati grazie alle relazioni e agli incontri delle nostre vite, grazie agli amorevoli Tu cui ci siamo potuti appoggiare per esplorare il mondo e, una volta acquisita la nostra sicurezza, differenziarci e diventare quell’Io unico e speciale che siamo destinati ad essere. Lavorando negli istituti scolastici con ragazzi, insegnanti e genitori, abbiamo avuto modo di comprendere ancora meglio come confini sani permettano un sano equilibrio personale e sociale: esso si colloca lungo un continuum tra l’esclusione di comportamenti egoistici e autoritari da una parte e, dall’altra, il rispetto di bisogni peculiari e legittimi desideri. Mantenere una giusta distanza dall’Altro diventa quindi importante per facilitare sia l’espressione della nostra unicità sia la presenza sana dell’alterità e del mondo esterno: si tratta, in altri termini, di trovare un confine relazionale che rispetta i nostri sentimenti e bisogni quanto quelli di chi ci troviamo di fronte.
La parola contatto deriva da “cum”(con) e “tangere”(toccare), toccare con…
Nella relazione incontriamo “ciò che non siamo” e così possiamo incontrare un “Tu” che può diventare un “Noi”.
Come possiamo utilizzare il contatto e il confine, visti in questa prospettiva complementare, in una relazione educativa e di cura? È il contatto che apre la strada alla persona che ha richiesto il nostro intervento educativo e terapeutico, consentendole di definire sé stessa attraverso la manifestazione di pensieri, credenze e comportamenti e di diventare sempre più consapevole, inquadrando e risolvendo i propri bisogni emotivi. Il confine invece, che è necessario per un percorso equilibrato, permette a noi professionisti di Doceat di vedere chi accompagniamo da un punto di vista esterno, lontano da giudizi e da coinvolgimenti emotivi. Questi due sguardi sono fondamentali: il primo per giungere alla conoscenza della persona e dell’organizzazione che ci troviamo di fronte e il secondo per permetterci di entrare in sintonia e costruire una relazione significativa. In ogni percorso c’è infatti un movimento di contatto e di confine. In un istante, o per un preciso contenuto, potrebbe essere necessario concordare quale tipo di vicinanza e contatto siano possibili, mentre in altri potrebbe essere invece indispensabile definire il confine. La linea di confine relazionale, in altre parole, è dinamica: possiamo pensarla come una corda elastica che si riduce e si estende secondo la reciprocità e le necessità evolutive, nel qui ed ora dell’incontro individuale o di gruppo. Chi si prende cura e chi ha bisogno d’aiuto sono due persone in reciproco ascolto, quindi un confine relazionale sano e mobile permette l’auto-centratura, e stimola la capacità di leggersi in una progressiva e libera percezione di sé.
I confini sono […] la tavola comune, mentre a farsi cibo condiviso è il contatto. Un cibo che riempie, sazia, dà gioia, ma non satura (che dà nausea) e fa emergere il desiderio di incontrarsi ancora, di nutrirsi ancora – e anche questo è prova di un sano contatto.
Confini e contatti, in quest’ottica, diventano quindi componenti fondamentali non solo di una relazione di cura, ma di ogni relazione: i confini non sono un muro che separa, quanto piuttosto una tavola comune, mentre il contatto è il cibo che su di essa si condivide. Un cibo che, quando è sano, riempie, sazia, dà gioia ma non satura alla nausea. Anzi, fa emergere il desiderio di incontrarsi ancora, di nutrirsi ancora – non solo per chi è accompagnato, ma anche per chi accompagna. Da questo punto di vista gli adolescenti, di fronte al nutrimento della relazione, si sbilanciano spesso lungo il confine tra sé e Altro, ritirandosi o facendosi alternativamente avanti e indietro per sperimentare la tenuta della relazione e verificare che il nutrimento sia genuino, autentico, sostanzioso. Proprio come talvolta si fa con il cibo, a volte si ingozzano di relazioni che non saziano mai, che portano ad allontanarsi dal vero contatto con l’Altro, se non al ritiro vero e proprio, come una denuncia della mancanza di un sapore mai gustato o gustato ormai troppo tempo addietro. In altri momenti, invece, rinunciano a godere di questa tavola imbandita perché il nutrimento di relazione offerto è visto come pericoloso oppure irraggiungibile. In alcuni casi, infine, ci sono ragazzi che vivono la vista di questa tavola come un’opportunità, un’esperienza, un’occasione in più per conoscere nuovi gusti e sapori – ed è qui che sta il giusto equilibrio.
Sani confini permettono un sano equilibrio personale e sociale: esso si colloca lungo un continuum tra l’esclusione di comportamenti egoistici e autoritari da una parte e, dall’altra, il rispetto di bisogni peculiari e legittimi desideri.
Durante i nostri percorsi di consulenza promuoviamo quindi confini flessibili, che permettano l’espressione dei bisogni e dei talenti di chi accompagniamo in un clima aperto, di dialogo e confronto. Stiamo, cioè, in un confine permeabile nel quale c’è spazio per formarsi una propria opinione e, contemporaneamente, per sentirsi accettati e benvoluti. Non a caso lo spazio relazionale più importante è quello interiore di accoglienza dell’accompagnatore, che non utilizza pre-comprensioni, giudizi o ricette. In questo modo il confine relazionale diventa terapeutico poiché rifonda le basi per creare relazioni significative a lungo termine, nella quali la persona, adulta o adolescente che sia, apprende la distanza che permette di essere contemporaneamente assertivi e amorevoli.